Il termine Smart Working è ormai entrato a far parte delle nostre vite professionali e ha profondamente cambiato il mondo del lavoro e la modalità con cui i collaboratori si relazionano alle aziende.

Abbiamo tutti assistito a un altro importante fenomeno: le grandi dimissioni. La “great resignation” porta le persone ad essere più inclini ad andarsene dal proprio posto di lavoro, specie nei primi sei mesi dall’assunzione.
Curare il processo di Onboarding dei collaboratori e offrire la possibilità di lavorare da remoto anche al di fuori del momento di emergenza, è diventato quindi più che mai rilevante. Anche perché gli ultimi mesi hanno fatto registrare una controtendenza negli Stati Uniti e la nascita di un’altra questione molto significativa per le aziende e i datori di lavoro: il grande rimpianto.

Remote Working e Smart Working

Negli ultimi due anni Remote Working e Smart Working sono stati spesso utilizzati come sinonimi ma si riferiscono a due modalità di svolgimento della prestazione lavorativa diverse, come abbiamo approfondito nel nostro articolo “Dal Remote Working allo Smart Working”.

Il Remote Working, definito dalla normativa come “telelavoro”, si svolge al di fuori dell’azienda ma comporta il rispetto di un orario preciso e la definizione di un luogo di lavoro specifico.

Lo Smart Working, o lavoro agile, prevede invece che il collaboratore possa lavorare da qualunque luogo idoneo e con orari flessibili. La normativa prevede una compresenza di giornate di lavoro in sede e giornate di lavoro in modalità agile.

Quello che è importante sottolineare è che lo Smart Working è destinato a restare nell’89% delle grandi aziende e nel 62% delle pubbliche amministrazioni (Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, 2021).

Smart Working, grandi dimissioni e great regret

I lavoratori italiani hanno scoperto una modalità di lavoro che permette loro non solo di migliorare il work life balance ma anche di essere più produttivi ed efficienti. Hanno inoltre condotto una riflessione sulle loro priorità, professionali e non, oltre che sulla loro carriera e scoperto che alcuni aspetti accantonati in precedenza sono diventati imprescindibili: sicurezza, benessere, coinvolgimento e passioni.

Secondo McKinsey “I dipendenti vogliono ritrovare uno scopo nel loro lavoro. Vogliono connessioni sociali e interpersonali con i loro colleghi e manager. Vogliono provare un senso di identità condivisa. Vogliono interazioni significative, anche se non necessariamente di persona, non solo transazioni”.

Da qui l’aumento delle dimissioni volontarie motivate da ragioni diverse: opportunità di carriera, tempo per sé stessi, possibilità di accedere allo Smart Working, desiderio personale di cambiamento, posizioni più coerenti con i propri valori.

Gartner ha pubblicato ad inizio marzo una ricerca secondo la quale più del 70% dei lavoratori IT a livello mondiale sta cercando di cambiare lavoro sollecitando le aziende ad adottare un modello più “human centric” che includa orari di lavoro migliori, riunioni più produttive e maggiore flessibilità per ridurre il turnover.

Insomma, un fenomeno di proporzioni bibliche, specie in certi settori, che le aziende non possono certamente ignorare.

Il fenomeno che sta accadendo negli ultimi mesi negli Stati Uniti va tuttavia nella direzione opposta. Coloro che hanno abbandonato il posto di lavoro non sempre si trovano in una condizione migliore.

Il sito di ricerca del personale Muse dichiara infatti che su 2500 intervistati, tre quarti di loro (72%) hanno sperimentato “sorpresa o rimpianto” per il fatto che la nuova posizione o la nuova azienda per cui hanno lasciato il lavoro si sono rivelate “molto diverse” da ciò che erano portati a credere. Quasi la metà (48%) di questi lavoratori ha dichiarato che cercherebbe di riavere il vecchio lavoro.

Il lavoro dei sogni si scontra con la realtà: molte aziende non rispecchiano quanto reclamizzato durante la fase di recruiting.

smart working

Smart Working e Onboarding per le aziende

Come fanno le aziende, specie le più piccole, a trattenere i talenti ed evitare questa emorragia che porta solo a confusione, caos e dispersione di risorse?

La maggior parte dei datori di lavoro farà infatti fatica a soddisfare tutte queste richieste

Attrarre e trattenere i talenti deve necessariamente comprendere la definizione di migliori strategie di talent attraction, una fase di Onboarding efficace e stimolante e adeguati piani di retention. “La forte competizione in atto impone nuove strategie a 360 gradi, con due obiettivi per ogni business: attrarre e trattenere le proprie risorse.” (La Stampa, 2022).

Per le aziende lo Smart Working è indubbiamente una modalità che accresce il rapporto di fiducia tra manager e collaboratori oltre che dar loro la possibilità di assumere talenti di valore a distanza.

Ma non basta. 

Le aziende non possono più limitarsi a offrire un lavoro e attendere che i candidati facciano la fila fuori dalla porta. Non solo bisogna rendersi attraenti ma fare estrema attenzione a ciò che si promette. Il rischio è quello di generare aspettative elevate che potrebbero non essere soddisfatte e innescare il processo del “grande rimpianto” di cui parlavamo prima.

L’Onboarding è quindi una fase cruciale per tutte le aziende, grandi e piccole. Durante le prime settimane di lavoro il collaboratore scopre l’ambiente dove si trova, conosce i colleghi con cui dovrà interagire, comprende i valori aziendali e, soprattutto, capisce se le promesse fatte sono state rispettate.

Attenzione però: l’Onboarding non inizia il primo giorno di lavoro, ma molto prima! Per la precisione dovrebbe iniziare quando, in fase di colloquio, ci si rende conto di avere di fronte una risorsa valida che s’intende assumere. Questo processo copre quindi anche il periodo di limbo e di transizione tra il momento del licenziamento dalla vecchia realtà e l’inizio del nuovo lavoro.

Al contempo però non è una meteora che si esaurisce il primo giorno di lavoro con la consegna del computer e l’accesso agli account. Non è nemmeno un task da depennare. 

È un impegno costante che dimostra attenzione nei confronti della persona e del suo processo di carriera. Pertanto si rivolge anche a chi sta già in azienda.

A cosa serve l’Onboarding? Quali sono le sue funzioni?

su tematiche che riguardano l’azienda (come chiedere i giorni di permesso, come è strutturato l’organigramma ecc)

integrare gap di competenza e conoscenza nel corso del tempo

far sentire la persona parte dell’azienda e portarla nel contesto operativo per la quale è stata assunta

mettere a suo agio il collaboratore, farlo sentire parte di un progetto più grande e aiutarlo a identificarsi con la realtà in cui ha scelto di lavorare.

Consigli per un buon Onboarding

Una buona pratica consiste nell’elencare tutte le attività già avviate per ogni funzione dell’Onboarding e aggiungere quelle mancanti. Domandiamoci: cosa possiamo fare per formare, informare, coinvolgere e integrare?
L’ideale è iniziare a posizionare questi “mattoncini”: alcuni saranno obbligatori (computer, account, policy interne, ecc), altri dovranno invece avere un respiro più ampio, rivolto verso il futuro e la progettazione. 

In questo modo, ogni azienda avrà un framework che consentirà, a seconda della persona assunta, di scegliere i migliori “mattoncini” e creare processi di Onboarding tagliati su misura.
Un direttore commerciale non potrà avere lo stesso percorso di Onboarding di un responsabile IT o di un impiegato amministrativo.  Altri suggerimenti pratici per accogliere i nuovi arrivati in azienda:

  • email di benvenuto
  • meet the team: momenti di incontro con altri membri del team per favorire integrazione e coinvolgimento, anche attraverso video registrati
  • comunicazione interna tramite newsletter ma anche tramite podcast che usano le voci delle persone che già lavorano in azienda
  • momenti di racconto anche da parte del nuovo arrivato 
  • formazione, mentoring e coaching come welcome kit
  • richiesta di feedback: si tratta in fondo dell’unico modo per avere il polso della situazione e non avere sorprese.

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